IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL PIEMONTE 
                            Sezione Prima 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro  generale  142  del  2020,   proposto   da   Baljit   Singh,
rappresentato e difeso dall'avv. Elisabetta Giardino,  con  domicilio
digitale come da Pec da registri di giustizia; 
    Contro Ministero dell'interno - Prefettura di Torino, in  persona
del  legale  rappresentante  pro  tempore,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  distrettuale  Torino,  domiciliataria  ex  lege   in
Torino, via dell'Arsenale n. 21; 
    Per l'annullamento del decreto della Prefettura di Torino  del  9
dicembre 2019, con cui e' stata rigettata la domanda  del  ricorrente
di conversione del permesso di soggiorno  per  lavoro  stagionale  in
permesso di soggiorno per lavoro subordinato; 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto  l'atto  di  costituzione   in   giudizio   del   Ministero
dell'interno; 
    Relatore nella Camera di consiglio del giorno 10 giugno  2020  il
dott. Angelo Roberto Cerroni; 
 
                              F a t t o 
 
    1. Il ricorrente, Baljit Singh, cittadino indiano,  ha  richiesto
l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato al  fine  di  proporre
ricorso avverso il diniego di conversione  del  proprio  permesso  di
soggiorno  per  lavoro  stagionale.  Ha  allegato  a  tal   uopo   la
documentazione prevista dall'art. 79 del decreto del Presidente della
Repubblica n. 115/2002, tra cui  la  copia  del  messaggio  di  Posta
elettronica certificata indirizzata all'Ambasciata indiana in Italia,
seguito da invio con lettera raccomandata  al  Consolato  indiano  in
Italia, nella quale si richiede  l'attestazione  consolare  circa  la
veridicita'  di  quanto   dichiarato   dal   ricorrente   in   ordine
all'insussistenza di redditi esteri. 
    2. La Commissione per l'ammissione al patrocinio  a  spese  dello
Stato,  appositamente  istituita  presso  questo  TAR,  ha   dapprima
richiesto un'integrazione documentale in data 4 marzo 2020  invitando
a produrre ai sensi dell'art. 79, comma 2 del decreto del  Presidente
della Repubblica n. 115/2002 «certificazione dell'Autorita' consolare
del Paese d'origine attestante i redditi (da  lavoro  dipendente  e/o
autonomo, finanziari e/o immobiliari) prodotti all'estero». 
    3. Con apposita nota di deposito, il ricorrente ha  integrato  la
documentazione versando in atti un'ulteriore autocertificazione nella
quale attesta di non disporre di redditi prodotti  all'estero  e  da'
atto del mancato riscontro  dell'autorita'  consolare  alla  espressa
richiesta di attestazione. 
    4. Con  decreto  del  9  aprile  2020,  visto  il  verbale  della
Commissione, il giudice delegato ha rigettato l'istanza di ammissione
rilevando che «ai  sensi  dell'art.  79,  comma  2  del  decreto  del
Presidente  della  Repubblica  n.  115/2002,  per  i  cittadini   non
appartenenti all'Unione europea non e' ammessa autocertificazione per
quanto concerne i redditi  prodotti  all'estero,  che  devono  essere
certificati dal competente consolato». 
    5. Il ricorrente ha proposto reclamo innanzi al Collegio  per  la
revoca del decreto di esclusione dal patrocinio a spese  dello  Stato
evidenziando, in particolare, che l'art. 94, comma 2 del decreto  del
Presidente della Repubblica  n.  115/2002  precisa  che  in  caso  di
impossibilita' di  produrre  la  documentazione  richiesta  ai  sensi
dell'art. 79, comma 2 (ovvero certificazione  redatta  dall'autorita'
consolare competente attestante la  veridicita'  di  quanto  in  essa
indicato) il cittadino di Stati non appartenenti  all'Unione  europea
la sostituisce, a pena di  inammissibilita',  con  una  dichiarazione
sostitutiva   di   certificazione,    sicche'    l'autocertificazione
presentata dal ricorrente deve  essere  considerata  valida  ai  fini
dell'ammissione al gratuito patrocinio. 
    6. All'udienza del 10 giugno 2020 la statuizione sul  reclamo  e'
passata in decisione ai sensi dell'art. 84, comma 5 del decreto-legge
n. 18/2020, convertito dalla legge n. 27/2020. 
 
                            D i r i t t o 
 
    1. L'ammissione al patrocinio  a  spese  dello  Stato  avviene  a
istanza di  parte  il  cui  contenuto  e'  disciplinato  puntualmente
dall'art. 79 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002:
in particolare, si prevede che l'istante  alleghi  una  dichiarazione
sostitutiva di certificazione da  parte  dell'interessato,  ai  sensi
dell'art. 46, comma 1, lettera o) del decreto  del  Presidente  della
Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, attestante la sussistenza  delle
condizioni  di  reddito  previste  per  l'ammissione,  con  specifica
determinazione  del  reddito  complessivo  valutabile  a  tali  fini,
determinato  secondo  le  modalita'   indicate   nell'art.   76.   La
disposizione che viene in  rilievo  e'  quella  recata  dal  comma  2
dell'art. 79 per cui «per i redditi prodotti all'estero, il cittadino
di Stati non appartenenti all'Unione europea  correda  l'istanza  con
una certificazione dell'autorita' consolare competente,  che  attesta
la veridicita' di quanto in essa indicato». L'esegesi letterale porta
a concludere che la certificazione in  questione  deve  attestare  la
veridicita'  di  quanto  dichiarato  nell'istanza   e   deve   essere
rilasciata  dall'autorita'  consolare  competente  a  valle  di   una
attivita'  di  accertamento  e  di  controllo  la  quale,  con  tutta
evidenza,  non  potrebbe  essere  utilmente  svolta  dalle  autorita'
italiane. 
    2. Nel caso venuto all'esame del Collegio  in  sede  di  reclamo,
l'esclusione dal patrocinio discenderebbe  dalla  piana  applicazione
della citata disposizione in quanto il cittadino indiano  richiedente
l'ammissione  al  patrocinio  a  spese  dello  Stato  ha  mancato  di
assolvere correttamente all'integrazione documentale richiesta  visto
che, pur avendo diligentemente  richiesto  la  prevista  attestazione
consolare, non ha ricevuto risposta alcuna  dall'Autorita'  consolare
indiana.  L'esclusione,  in  buona  sostanza,   viene   a   dipendere
dall'inerzia di un soggetto  pubblico  terzo,  non  sopperibile  allo
Stato  con  gli  istituti   di   semplificazione   amministrativa   e
decertificazione  documentale  previsti,  invece,  per  i   cittadini
italiani  e  dell'Unione  europea,  con  irragionevole   vulnus   del
principio   di   eguaglianza   formale   nell'accesso   alla   tutela
giurisdizionale, nella specie da esperirsi contro atti della pubblica
amministrazione italiana. 
    3. Il Collegio ritiene che la  disposizione  in  parola  presenti
profili di illegittimita' rispetto agli articoli 3, 24,  113  e  117,
comma 1 della  Carta  fondamentale,  nella  parte  in  cui  subordina
l'apprestamento di mezzi per l'accesso alla tutela giurisdizionale da
parte  dei  non  abbienti  ad  incombenti  documentali  che,  pur  se
pertinenti alla prova delle condizioni reddituali, esulano dalla loro
sfera di dominio, profili alla luce dei quali si impone la rimessione
alla  Corte  costituzionale  delle  relative  questioni,   ai   sensi
dell'art.  23  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87  (Norme   sulla
costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale). 
    4. La disposizione in questione  e'  innanzitutto  rilevante  nel
presente giudizio. 
    5. Invero, la decisione sul reclamo presentato dall'istante viene
a dipendere dall'applicazione cruciale della disposizione  sospettata
di  illegittimita'  costituzionale,  nel  senso  che  una  pedissequa
applicazione della  littera  legis  comporterebbe  la  reiezione  del
reclamo con conferma della mancata ammissione al patrocinio  a  spese
dello Stato per l'odierno ricorrente  e  l'ineluttabile  lesione  dei
parametri costituzionali invocati (e dei sottesi valori  di  civilta'
giuridica). 
    5.1. Ad avviso  del  Collegio  non  appare  praticabile  de  jure
condito una soluzione ermeneutica  costituzionalmente  orientata  che
scongiuri l'incidente di costituzionalita'. In  particolare,  non  e'
apparsa percorribile l'estensione  in  via  analogica  dell'art.  94,
comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica n.  115/2002  per
cui «in caso di impossibilita' a produrre la documentazione richiesta
ai  sensi  dell'art.  79,  comma  2,  il  cittadino  di   Stati   non
appartenenti  all'Unione  europea,  la   sostituisce,   a   pena   di
inammissibilita',    con    una    dichiarazione    sostitutiva    di
certificazione». Ostano all'analogia  legis  di  questa  disposizione
insuperabili argomenti di indole logico-interpretativa, sistematica e
teleologica:  innanzitutto,  difetterebbero  con  tutta  evidenza   i
presupposti   per   l'operativita'   del   procedimento    analogico,
consistenti nella lacuna in senso tecnico del tessuto normativo e  la
medesimezza di ratio della disposizione che si  vuole  applicare  per
colmare la lacuna. L'assenza di lacuna si salda  con  l'argomento  di
indole sistematica che avvalora  la  diversita'  di  ratio:  si  deve
osservare, infatti, che l'art. 94, comma 2 cit. si colloca  nel  Capo
III del Titolo II, recante «Disposizioni particolari sul patrocinio a
spese dello Stato nel processo penale» di tal che' non puo' revocarsi
in  dubbio  che  l'espresso  ambito  applicativo   della   norma   e'
circoscritto al processo  penale  e,  sul  versante  teleologico,  il
legislatore ha chiaramente inteso differenziare i regimi di accesso -
e   il   correlato   dosaggio   dell'accesso   agli    istituti    di
de-certificazione - in ragione della diversita' di interessi in gioco
tra processo penale e altri giudizi. 
    5.2. E' peraltro noto al Collegio che siffatta lettura  e'  stata
gia' avallata dal  giudice  delle  leggi  che,  con  la  sentenza  19
novembre 2015, n. 237, ha  fornito  importanti  elementi  sistematici
relativi all'intera materia del patrocinio a spese  dello  Stato;  in
particolare, la Corte ha ricordato che «la disciplina del  patrocinio
a spese dello Stato per i non abbienti risulta assoggettata, sin  dal
suo esordio, ad  un  regime  differenziato  a  seconda  del  tipo  di
controversie cui il beneficio sia applicabile, con una sorta di summa
divisio tra processo penale e altri tipi di giudizio» e che  «...  le
peculiarita'  che  caratterizzano  il  processo  penale  rispetto  ai
procedimenti civili o amministrativi - significative al punto da aver
indotto il legislatore costituzionale a contrassegnare, nell'art. 111
della  Costituzione,  in   termini   di   marcata   specificita'   le
caratteristiche del "giusto processo penale" rispetto a quelle  degli
altri processi - non  possono  non  corrispondere  ai  connotati  che
caratterizzano l'azione penale rispetto alle domande proposte davanti
ai giudici dei diritti o degli interessi; sicche' puo' ritenersi  del
tutto coerente che il legislatore, proprio  in  considerazione  delle
particolari esigenze di difesa  di  chi  "subisce"  l'azione  penale,
abbia reputato necessario approntare un sistema di  garanzie  che  ne
assicurasse al meglio la effettivita', anche  sotto  il  profilo  dei
limiti di reddito per poter fruire del patrocinio a spese dello Stato
per i non abbienti. Contrariamente, pertanto, a quanto fa  mostra  di
ritenere il giudice a quo, la  finalita'  di  tutela  giurisdizionale
sancita  dall'art.  24,   primo   comma   della   Costituzione,   ma,
soprattutto, la necessita' di assicurare ai non abbienti i mezzi  per
agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione, prevista dal  terzo
comma dello stesso art.  24  della  Costituzione,  non  presuppongono
affatto che  "gli  appositi  istituti"  siano  modellati  in  termini
sovrapponibili per tutti i tipi di azione e di giudizio: potendo,  al
contrario, apparire sostanzialmente incoerente un  sistema  che  -  a
risorse economiche limitate - assegni lo stesso tipo  di  protezione,
sul piano economico, all'imputato di un  processo  penale,  che  vede
chiamato in causa il bene della  liberta'  personale,  rispetto  alle
parti di una controversia che coinvolga, o possa coinvolgere, beni  o
interessi di non equiparabile valore». 
    6. Con riguardo al presupposto della non  manifesta  infondatezza
il Collegio e' dell'avviso che la compatibilita' costituzionale della
disposizione di cui all'art. 79, comma 2 sia da  revocare  in  dubbio
per le ragioni che si vanno ad illustrare dappresso. 
    7. Il primo parametro che si assume leso  dalla  disposizione  de
qua e' l'art. 24 della  Costituzione,  il  quale  nell'assicurare  al
comma 3 l'apprestamento di appositi istituti rivolti ai non  abbienti
affinche' abbiano i mezzi per agire  e  difendersi  davanti  ad  ogni
giurisdizione mira ad assicurare la pienezza e  l'effettivita'  della
tutela giurisdizionale consacrata al comma 1. 
    7.1.  Appare  ben  chiaro  al  Collegio  remittente   che   nella
disciplina del patrocinio a spese  dello  Stato  si  contemperano  le
esigenze di garanzia per il richiedente del diritto alla difesa e  di
tutela  dell'interesse  patrimoniale  pubblico.   Nel   disegno   del
legislatore il punto di equilibrio tra tali due istanze si situa  nel
rigoroso rispetto delle condizioni  per  l'ammissione  al  beneficio,
concepite al fine di  evitare  che  dello  stesso  possano  usufruire
soggetti che non hanno o che  non  provano  di  avere  uno  stato  di
indigenza patrimoniale (cfr. Cass. pen. Sez. IV, 3 febbraio 2009,  n.
4647). 
    7.2.  Senonche',  non   puo'   non   rilevarsi   la   particolare
sensibilita' dimostrata dal legislatore in due fattispecie  peculiari
nelle quali si prescinde o si  attenua  il  rigore  probatorio  delle
condizioni reddituali: in primis, il gia' menzionato art. 94, comma 2
introduce  una  previsione  derogatoria   di   surrogabilita'   della
attestazione  consolare  con  una  autocertificazione  nel  caso  dei
giudizi  penali,  come   visto   inapplicabile   analogicamente   per
diversita' di ratio legis; in secondo luogo, l'art. 142  del  decreto
del Presidente della Repubblica n. 115/2002  dispone  inequivocamente
che nel processo avverso il provvedimento di espulsione del cittadino
di Stati non appartenenti all'Unione europea, di cui all'art. 13  del
decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286,  l'onorario  e  le  spese
spettanti all'avvocato e all'ausiliario del magistrato siano a carico
dell'erario.  Le  due  fattispecie  comprovano  la  latitudine  delle
soluzioni entro cui sceglie di muoversi il legislatore nell'esercizio
della   sua   discrezionalita',   tutte   concordemente   convergenti
nell'espressione  di  un  principio  di  assistenza  e  tutela  della
condizione  degli  stranieri,  ancorche'  non  in   regola   con   le
disposizioni in materia di ingresso  e  soggiorno,  a  riprova  della
preminenza della accessibilita' sostanziale - a parita' di condizioni
- alla tutela giurisdizionale  quale  valore  di  civilta'  giuridica
fondante il nostro ordinamento. 
    7.3.  Senonche',  nella  fattispecie  in   esame   l'effettivita'
dell'accesso  alla  tutela  giurisdizionale  sarebbe  svuotata  della
propria  portata  sostanziale  in  conseguenza   dell'inerzia   degli
apparati  amministrativi  degli  uffici  consolari  dei   Paesi   non
appartenenti all'Unione  europea,  inerzia,  non  preventivabile  ne'
altrimenti  ovviabile  a  cura  del  richiedente,   i   cui   effetti
pregiudizievoli si  riverbererebbero  a  danno  degli  stranieri  non
abbienti inibiti  de  facto  all'accesso  alla  predetta  tutela  nei
giudizi  diversi  dal  processo  penale  o  dai  processi  avverso  i
provvedimenti di espulsione. Siffatti esiti si pongono diametralmente
agli  antipodi  degli  auspici  e  delle  ambizioni  perseguite   dal
costituente, specialmente laddove si specifica a chiare  lettere  che
l'approntamento degli appositi  istituti  deve  assicurare  l'accesso
alla tutela davanti ad  ogni  giurisdizione;  il  vulnus  si  aggrava
vieppiu'   ponendo   mente,   con   riguardo    alla    giurisdizione
amministrativa, al parallelo parametro  recato  dall'art.  113  della
Costituzione che  afferma  parimenti  con  espressione  inequivoca  e
incondizionata che e' sempre ammessa la  tutela  giurisdizionale  dei
diritti e degli interessi legittimi davanti agli atti della  pubblica
amministrazione. L'effettivita' di questa tutela corre sul filo della
concreta accessibilita' su un piede di  eguaglianza  sostanziale  per
tutti,  cittadini  italiani,  comunitari   e   extracomunitari,   non
tollerando discriminazioni - dirette o indirette, de jure o de  facto
- fondate sullo status civitatis, quali si verificherebbero venendo a
dipendere l'effettivita' dell'istituto  dall'aleatoria  solerzia  nel
riscontro  all'istanza  di  cui  all'art.  79,  comma  2.  La  tenuta
costituzionale potrebbe essere recuperata,  ad  avviso  del  Collegio
rimettente, ove la  disposizione  prevedesse,  in  via  additiva,  il
soddisfacimento dell'onere documentale, nei casi  di  impossibilita',
comprovando  di  aver  compiuto  tutto   quanto   esigibile   secondo
l'ordinaria  diligenza  per   ottenere   la   prevista   attestazione
consolare,  valutazione  quest'ultima  da  rimettersi   al   prudente
apprezzamento del giudicante. 
    8. Invero, la disamina mette a nudo plurimi risvolti rispetto  ai
quali si ha ragione di dubitare  della  tenuta  costituzionale  della
disposizione anche con riferimento all'art. 3 della Costituzione: 
        (a) pur  non  potendo  evocare  quale  tertium  comparationis
l'art. 94, comma 2 del decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.
115/2002 in ragione della acclarata diversita' di interessi tutelati,
si ravvisa una tensione con il principio di uguaglianza formale nelle
concomitanti situazioni di persone straniere appartenenti  a  diversi
Stati le  quali  instano  per  l'ammissione  al  patrocinio  gratuito
sortendo esiti opposti, pur se in pari  condizione  di  indigenza,  a
seconda della reattivita' dei propri apparati  burocratico-consolari,
con  inammissibile  differenziazione   sostanziale   di   trattamento
(ammissione/esclusione) a seconda della propria nazionalita'; 
        (b)  il   regime   cosi'   divisato   pecca,   altresi',   di
irragionevolezza dacche' trascura di considerare che gli  ordinamenti
nazionali di appartenenza degli stranieri richiedenti l'ammissione al
gratuito patrocinio potrebbero disconoscere un obbligo di conclusione
del  procedimento  a  istanza  di  parte,  specie   in   materia   di
attestazione  di  veridicita'  delle   dichiarazioni   per   cui   si
controverte,   minando   alla   base   l'effettivita'   dell'istituto
nazionale.  A  tal  riguardo,  puo'  utilmente  soccorrere  la  ratio
decidendi che sorresse la  declaratoria  di  illegittimita'  parziale
dell'antecedente storico-sistematico della  disposizione  in  parola,
ossia l'art. 5, comma 3 della legge n. 217/1990 in tema  di  gratuito
patrocinio: la Consulta, con pronuncia n. 219  del  1995,  dichiaro',
infatti, tale norma costituzionalmente illegittima in parte  qua  per
violazione dell'art. 3 della Costituzione (assorbita la  denuncia  di
violazione  anche  dell'art.  101,  comma  2  della  Costituzione)  e
realizzo'  la  reductio  ad   legitimitatem   mediante   l'espunzione
dell'inciso  «per  quanto  a  conoscenza  della  predetta  autorita'»
consolare. In  buona  sostanza  la  Corte  ritenne  che  «l'autorita'
consolare,  se  vuole  rendere  una  attestazione  utile  in   favore
dell'interessato,   non   puo'   piu'   limitarsi    a    raffrontare
l'autocertificazione con i  dati  conoscitivi  di  cui  eventualmente
disponga, ma (nello spirito di  leale  collaborazione  tra  autorita'
appartenenti a Stati diversi) ha (non certo  l'obbligo,  ma)  l'onere
(implicito nella riferibilita' ad essa di un atto di asseveramento di
una dichiarazione di scienza) di verificare nel merito  il  contenuto
dell'autocertificazione   indicando   gli   accertamenti   eseguiti».
Particolarmente significativa la conclusione  raggiunta  dalla  Corte
sugli esiti manipolativi della disposizione illo  tempore  censurata:
«in  conseguenza  della   presente   pronunzia   invece   -   dovendo
l'autocertificazione  essere  in  se'  non  mendace  (piuttosto   che
meramente conforme a quanto eventualmente a conoscenza dell'autorita'
consolare) - il giudice diviene libero di valutare l'idoneita'  degli
accertamenti eseguiti e la congruita' delle risultanze  degli  stessi
rispetto  a  quanto  emergente  dall'autocertificazione  al  fine  di
riconoscere o disconoscere il diritto dell'interessato al  patrocinio
a spese dello Stato». E' dunque opinione del Collegio che - a  fronte
del precedente dictum della Corte -  la  nuova  disposizione  di  cui
all'art. 79, comma 2 pecchi  irragionevolmente  di  eccessivo  rigore
formale, precludendo l'accesso sostanziale agli istituti di  sussidio
in ragione del maggiore o minore lassismo delle autorita'  consolari.
La reductio  ad  legitimitatem  potrebbe  operarsi  in  via  additiva
ritenendo   ammissibile   nei   casi   di   impossibile    produzione
dell'attestazione consolare la produzione  di  forme  sostitutive  di
certificazione, in analogia agli istituti  previsti  dall'ordinamento
nazionale, valutando secondo il libero apprezzamento del  giudice  la
condotta  dell'interessato  alla  stregua  dei  canoni  di  ordinaria
diligenza; 
        (c) la mancata previsione di un  meccanismo  alternativo  che
consenta al richiedente di prescindere dalla  mancata  collaborazione
delle proprie autorita' consolari cozza, altresi', con un naturale  e
immanente principio di auto-responsabilita', addossando  allo  stesso
richiedente le  conseguenze  sfavorevoli  di  siffatta  inerzia,  pur
avendo questi posto in essere tutte le attivita' giuridiche esigibili
secondo l'ordinaria diligenza (richiesta tempestiva e a mezzo  Pec  o
lettera raccomandata a/r alle autorita' preposte). 
    9. La disposizione censurata, inoltre, si porrebbe  in  contrasto
con la Carta dei  diritti  fondamentali  dell'Unione  europea,  cosi'
violando indirettamente  l'art.  117,  comma  1  della  Costituzione,
giacche', nel subordinare incondizionatamente alla  produzione  della
attestazione consolare la fruizione del beneficio dell'ammissione  al
patrocinio a spese dello Stato, si  introdurrebbe  un  onere  cui  il
soggetto privo di mezzi non potrebbe adempiere  altrimenti,  violando
il diritto ad un accesso effettivo alla giustizia per coloro che  non
dispongono  di  mezzi  sufficienti  quale  consacrato  all'art.   47,
paragrafo 3 della Carta. 
    10. Le tensioni con l'art. 117, comma 1, emergono  anche  ponendo
mente ad una peculiare disposizione ampliativa di rango regolamentare
recata dal testo unico in materia di  documentazione  amministrativa:
l'art. 3, comma 3 del decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
445/2000 sancisce, infatti, che i cittadini di Stati non appartenenti
all'Unione autorizzati  a  soggiornare  nel  territorio  dello  Stato
possono utilizzare le dichiarazioni sostitutive di cui agli  articoli
46 e 47 nei casi  in  cui  la  produzione  delle  stesse  avvenga  in
applicazione di convenzioni internazionali fra l'Italia ed  il  Paese
di provenienza del dichiarante. Non puo' non intravedersi un  profilo
di  tensione  tra  l'art.  79,  comma  2  e  tutte   le   convenzioni
internazionali, stipulate o  stipulande  dallo  Stato  italiano,  che
prevedano  bilateralmente  o  multilateralmente  l'estensione   degli
istituti   della   decertificazione    amministrativa,    le    quali
troverebbero, invece, un ostacolo frontale  proprio  nella  lapidaria
imposizione prescritta dalla disposizione impugnata, peraltro, in una
delicata materia quale quella dell'ammissione al gratuito patrocinio. 
    11. Conclusivamente si ritiene, per le  su  esposte  ragioni,  di
sollevare la questione di costituzionalita' dell'art. 79, comma 2 del
decreto del Presidente della Repubblica n.  115/2002  per  violazione
degli articoli 3, 24, 113 e 117 della Costituzione  e  di  sospendere
conseguentemente ogni decisione sul reclamo innestato dal  ricorrente
nel  giudizio  principale  in  attesa  della  pronunzia  della  Corte
costituzionale.